Dal Somerset al mondo: come è nato il Brand Clarks
Dalle pantofole cucite a mano alle collezioni contemporanee: il percorso di un Brand che ha messo al centro comfort, durata e qualità.
Clarks
Clarks è uno di quei marchi che sembrano essere esistiti da sempre: lo trovi nelle vetrine delle città europee, nei negozi per bambini, nelle playlist reggae degli anni Settanta e perfino nei racconti di chi a scuola aveva “le Clarks buone” per i giorni importanti. Eppure la storia di questo brand inizia in un luogo preciso e in un momento preciso: Street, un piccolo villaggio del Somerset, in Inghilterra, nel 1825, quando Cyrus Clark avvia una piccola attività legata alla lavorazione della pelle e alla produzione di tappeti in pelle di pecora. L’idea che farà nascere l’azienda così come la conosciamo arriva poco dopo, quando il fratello James decide di usare gli scarti dei tappeti per cucire pantofole morbide: un gesto di riutilizzo che oggi chiameremmo economia circolare e che allora fu soprattutto buon senso artigiano.
Nel corso dell’Ottocento la famiglia Clark capisce che la calzatura può diventare un mestiere stabile. I fondatori sono di origine quacchera, quindi cresciuti in un ambiente che valorizza lavoro, sobrietà e responsabilità sociale: questo spiega perché Clarks costruisce fin dall’inizio una reputazione di azienda “corretta”, con prodotti onesti e adatti alla vita quotidiana. A fine secolo l’impresa introduce metodi di produzione più moderni e, agli inizi del Novecento, arriva anche un’innovazione che per l’epoca è rivoluzionaria: la misurazione precisa del piede per offrire scarpe più comode e davvero su misura per i bambini. Questa attenzione alla calzata, che oggi diamo per scontata, è uno dei motivi per cui tante persone associano Clarks alle “scarpe giuste”, non solo alle scarpe belle.
La vera svolta di immagine arriva però nel secondo dopoguerra, grazie a un membro della famiglia destinato a diventare leggendario: Nathan Clark. Ufficiale dell’esercito britannico durante la Seconda guerra mondiale, Nathan nota in Nord Africa un tipo di stivaletto semplice, con suola in crepe e tomaia in pelle scamosciata, usato dai militari perché comodo e resistente. Tornato in Inghilterra propone di produrlo: nel 1950 nasce così la Desert Boot, ancora oggi considerata il modello più iconico del marchio. È una scarpa ibrida, né formale né sportiva, che puoi portare con i jeans, con i pantaloni di cotone e persino con un abito informale. Il segreto è proprio la sua essenzialità: una forma pulita, nessuna decorazione superflua, materiali robusti. Non stupisce che la Desert Boot diventi in poco tempo un simbolo del british style rilassato.
Negli anni Sessanta e Settanta Clarks continua a sperimentare e lancia un altro modello destinato a lasciare il segno: la Wallabee, una scarpa ispirata alla costruzione mocassino, con cucitura a vista e suola in crepe, prodotta a lungo in Irlanda e poi in altri stabilimenti. È comoda, ha un’aria artigianale e nel tempo viene adottata da pubblici molto diversi: dagli studenti britannici agli artisti giamaicani, fino all’hip hop statunitense e ad alcune serie TV che la ripropongono come simbolo di autenticità. Il legame con la Giamaica e con la cultura rude boy, raccontato anche da studi e libri dedicati al tema, contribuisce a dare a Clarks una dimensione pop che va oltre la scarpa da città. È raro che un marchio nato in un villaggio inglese diventi a sua volta un elemento di stile in un’altra isola a migliaia di chilometri di distanza, ma con Clarks è successo.
A livello industriale, nel secondo Novecento l’azienda cresce, apre uffici a Londra e poi si espande all’estero. La produzione, in origine interamente britannica, viene progressivamente delocalizzata e oggi molte scarpe Clarks sono realizzate tramite fornitori esterni, soprattutto in Asia, mentre la sede storica resta a Street, nel Somerset, dove si trova ancora il cuore operativo e un ricco archivio aziendale. Questa evoluzione è comune a molte aziende di calzature europee, ma nel caso di Clarks c’è uno sforzo evidente per mantenere coerenza di design e qualità, così che una Desert Boot di oggi sia ancora riconoscibile come discendente diretta del modello del 1950. Sul sito ufficiale si ritrova con chiarezza questa narrazione delle origini e del lavoro sulla calzata.
Negli ultimi anni la storia del marchio ha aggiunto un capitolo nuovo: l’ingresso di capitali asiatici e una struttura proprietaria più internazionale, con la maggioranza oggi in mano al gruppo Viva Goods e la famiglia Clark che detiene ancora una quota importante. Questo ha permesso al brand di rafforzare la rete retail e di investire in comunicazione globale, mantenendo però l’identità di marchio inglese con 200 anni di attività.
Nel 2025, per celebrare questo traguardo, è stato inaugurato a Street lo Shoemakers Museum, un percorso che raccoglie modelli storici, strumenti di lavoro e materiali d’archivio e che racconta l’evoluzione del marchio da piccola impresa di pantofole a nome riconosciuto in Europa, America e Asia. È un modo molto concreto per ribadire che dietro a una scarpa apparentemente semplice c’è una catena di scelte industriali, culturali e perfino sociali lunga due secoli.
Oggi Clarks vive di questa doppia anima: da un lato la funzionalità “british”, fatta di tomaie pulite, pellami morbidi, suole in crepe e colori naturali; dall’altro la capacità di diventare ogni volta il segno distintivo di una sottocultura o di una generazione. È la stessa ragione per cui le sue scarpe stanno bene sia in un contesto di moda sostenibile, dove la durata del prodotto conta più del trend del momento, sia in un contesto urbano, dove raccontano appartenenza. Ed è anche il motivo per cui, quando si parla di marchi longevi, Clarks viene citato sempre insieme agli altri grandi nomi del footwear inglese: perché è rimasto fedele all’idea originaria di fare scarpe funzionali, ma ha saputo farle desiderare.